giovedì 4 aprile 2013

Intanto




Intanto lei. Lei intanto spazzava e lavava e strofinava e grattava lo sporco dalle case e lucidava e spolverava e rifiniva per donare lucidità e brillantezza ai tuguri che, più o meno, erano stati trascurati dalla trascuratezza dei padroni di quelle case che erano l'altra faccia della medaglia dell'aspetto curato di quelle persone, come del resto accadeva anche a lei, lei che tirava a lucido che riportava ordine negli oggetti, lei aveva realizzato che gli oggetti hanno un valore relativo, che gli oggetti vogliono possederti e incollarti ai luoghi, che ti incatenano. Era logico che tutto andasse al contrario in un paese dove tutto era il contrario rispetto a ciò che aveva lasciato. Lei, Cinderella, il suo aiutante magico l'aveva incontrato molto prima di iniziare a logorarsi i polpastrelli con le spugne abrasive che tirano via incrostazioni di sporco e pelle delle mani. Lui era comparso in un giorno di sconforto, di quelli che prendono a tutti, ma quando è una donna ad averli sembra che tutto il mondo si incupisca, che le nuvole si facciano scure pronte a esplodere acqua come i suoi occhi gonfi. Lei era su una panchina incurvata su un libro che raccontava storie violente in inglese, ma, per come lo vedeva lei in quel momento, poteva essere arabo, cirillico o mandarino: comunque non avrebbe capito il senso ed era questo che in quel momento la scoraggiava. Non si trattava di saper leggere una lingua straniera per sfizio, ma di comprenderla e assimilarla per necessità e l'urgenza, anziché spingerla la bloccava; ogni verbo irregolare, plurale strano o parola che non compariva nel suo dizionario tascabile, che per un errore di stampa o un scherzo del rilegatore aveva le lettere messe in ordine sparso, ogni ostacolo la riportava al pensiero originale: al pensiero che non ce l'avrebbe mai fatta. E fu in mezzo a questa coltre di pensieri scuri che si materializzò di fianco a lei una presenza. Non si sa bene se lui l'avesse vista da lontano e, particolarmente sensibile come era, fosse stato travolto dal suo sconforto, o se semplicemente fosse apparso d'improvviso seduto su quella panchina, così come appaiono le presenze magiche. E una volta apparso, non fece niente di straordinario, o meglio fece una cosa talmente normale, ma allo stesso tempo talmente rara questi tempi, da risultare straordinaria: parlò con la ragazza. Lui le chiese cos'era che non andava, lei gli rispose che non riusciva ad inserirsi in questa realtà sottosopra, in questa lingua che qualcuno definiva semplice, il fatto eccezionale fu che tutto questo lo disse in inglese e lui rimase stupito dalla contraddizione che rimarcò e le disse anche che poteva stare tranquilla che un lavoro l'avrebbe trovato grazie anche a quel suo sorriso che spuntava anche in mezzo alle malinconie. Poi le raccontò la sua storia, le sue origini, il misto di razze che si era fuso prima di portare al suo parto, origini aborigene ma anche orientali e africane e qualcos'altro, anche lui era senza lavoro, ma la sua carica di energia vitale lo faceva risultare una di quelle persone che riescono a cavarsela comunque. Poi lui fece una cosa ancora più semplice che parlarle e ancora più rara da vedere: l'abbracciò. E l'abbraccio fu uno di quelli caldi di quelli che ti stringono a sé che ti strizzano e ti sgonfiano delle tue cariche negative e poi ti rigonfiano soffiandoti dentro la loro energia, persone che sembra abbiano un cuore più sviluppato, più grande e più pompante, che funzioni proprio come una pompa ma non si limiti agli organi interni, che per la sua capienza, quando soffia, riesca anche a ossigenare chi lo circonda. Poi come arrivò, sparì lasciandole un sorriso che rischiarì il cielo. Ma non sparì per sempre. Lo vide molte volte ancora e furono sorrisi sempre più sereni, di lei e per lei che aveva trovato lavoro, per lui e di lui che aveva trovato un lavoro eccellente nelle miniere. Fino all'ultima volta, per il momento, in cui lui le chiese di accompagnarlo all'aeroporto in piena notte per andare nelle miniere perchè aveva perso il portafoglio – gli aiutanti magici risultano spesso sbadati e distratti – e non aveva soldi per il taxi (l'aereo era pagato dalla compagnia), lei acconsentì senza batter ciglio, quando ci si donano gesti affettuosi a vicenda poi tutto viene naturale. (Tutto vi sarà chiesto, tutto vi sarà dato).
Nel mezzo dei due incontri lei trovò il lavoro, che non era il lavoro dei sogni, nessuno sogna di pulire da grande, ma era pur sempre un lavoro. E nel lavoro diede tutto, diede i polpastrelli e la schiena e la pazienza e fu fortunata ad incontrare due altre cinderelle con cui scambiare qualcosa di più di una spugna o uno spruzzino. E mentre correva da una casa all'altra con il van aziendale i suoi pensieri correvano verso le prossime mete, i luoghi da visitare una volta lasciato il lavoro, un van tutto suo con cui arrivare alla punta nord dell'australia e fare il bagno con squali balena e tartarughe, o si perdevano nelle lotte umanitarie che avrebbe voluto fare, era decisa ad affrontare la corea del nord per mettere in salvo quella del sud, patria natale dei suoi nuovi amici, voleva salvare i conigli dalle trappole dell'uomo australico. Quella dei conigli era una battaglia persa, una battaglia che prima di lei persero gli australiani, poi persero i conigli, poi tornarono i conigli e ora gli australiani non volevano più perdere. I conigli li aveva visti per primo Cinderello, li aveva visti più volte, sempre di sera sempre da solo al ritorno dal suo lavoro, gli facevano compagnia sulla strada che percorreva a piedi stravolto, lo precedevano scappando qualche metro quando si avvicinava, aspettandolo ancora qualche metro più in là e scappando un altro po'. Lui le raccontava questi strani incontri e lei lo stava a sentire senza il minimo scetticismo. Poi un giorno le raccontò che di coniglio ne era rimasto solo uno, che l'altro, quello che non c'era più era stato asfaltato da una macchina e poi altre ancora e l'aveva riconosciuto solo dalle orecchie che spuntavano dall'asfalto dove ora rimaneva solo una pelliccia sporca di pneumatici. E il cuore di lei si strinse per il coniglio rimasto vedovo e le chiese di portarla dove per la prima volta li aveva visti, che poi era nel parco dove aveva incontrato il suo aiutante magico per la prima volta. E lì basto sedersi e aspettare e la testa del coniglio rimasto fece capolino e uscì, ma non era solo, dopo di lui, in fila quattro cuccioli uscirono dalla tana e tutto sembrò farsi più sereno, il ciclo della vita, morte e rinascita, un ciclo continuo. Dopo di lei, purtroppo, troppe persone videro i conigli e tra quelli c'era qualcuno che doveva ricordare la grande invasione in tempi non troppo lontani. E nonostante il periodo fosse quello pasquale, il sindaco non si fece problemi a diffondere l'avviso che avrebbe cosparso il parco di veleno. Il cuore di lei si strinse nuovamente, avrebbe voluto mangiare il veleno per salvare gli animali, avrebbe voluto mettere in fuga i conigli ma sentiva imbattibile la burocrazia, un marchingegno infernale senza alcuna pietà. Come aveva imparato pulendo che dietro il pulito c'era lo sporco, così capì che dietro la bellezza della natura imperversano azioni oscene. Poi c'erano gli aborigeni quelli veri, quelli autentici, quelli che erano ingabbiati in mondo alcolico degenerativo, quelli che più di tutto avrebbe voluto salvare, ma ancora doveva decidere come. Poi venne il tempo di partire e fu così che lasciò il lavoro con un sorriso di circostanza verso il capo unto e un good luck sincero e la schiena le si raddrizzò e le abrasioni svanirono e il futuro incerto splendeva della luce dell'avventura e della scoperta. In più rispetto a prima, a prima dell'incontro magico, ora parlava una nuova lingua.


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IL SALTO DEL KOALA by FABIO MUZZI is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.